Verso il 1565 una commissione di cardinali iniziò l'applicazione delle riforme tridentine alla musica praticata nelle cappelle romane. Si trattava specialmente della messa e del mottetto in polifonia, ove il testo sacro sembrava necessariamente confondersi nel complicato intreccio delle parti. Pierluigi, presentando a Pio IV tre messe di sua composizione, tra le quali una scritta - nello stesso intento - già al tempo di papa Marcello IIe a lui dedicata, riuscì a convincere il pontefice che il significato delle parole sacre poteva risaltare chiaro ed evidente pur nello stile contrappuntistico e che quel canto così puro e commovente poteva giovare grandemente allo stesso culto chiesastico. Pierluigi si poneva così nel miglior modo a capo della riforma voluta da Pio IV e dai suoi ispiratori. Il compositore cominciava intanto a raccogliere i meritati frutti del suo lavoro: nel 1565 passava da Santa Maria Maggiore al Magistero del Seminario romano. Nel 1567 riacquistava l'ambito posto di maestro dei concerti del card. Ippolito d'Este iunior e pubblicava il secondo libro di messe (4 a 4 voci, 2 a 5 e una, la Missa Papae Marcelli, a 6), composizioni ove la più ingegnosa elaborazione polifonica è ravvivata dalla genialità dell'architettura che, tra l'altro, si rivela nell'opportuno avvicendarsi dell'omoritmia con la polifonia e nell'uso dei più vari coloriti vocali. L'opera, forse in ricordo dell'attività tridentina dei vescovi spagnoli, è dedicata a Filippo II di Spagna, monarca che in quel momento non si trovava in armonia col Vaticano. Pierluigi mirava evidentemente a lasciare Roma, ove il pontificato di Pio V era poco favorevole allo sviluppo della musica, e voleva passare alla corte di Spagna, mentre contemporaneamente (1567-68) trattava con quella di Vienna. Trattative, queste, che non ottennero risultato positivo, date le alte pretese del maestro (35 scudi d'oro al mese). Nello stesso 1568 cominciavano anche le sue relazioni con Guglielmo Gonzaga duca di Mantova, durate per circa 20 anni e cioè fino alla morte del principe. Questi si rivolgeva spesso a Pierluigi per chiedere un parere sui propri lavori musicali, informazioni su cantori e sonatori o per commissionargli messe e mottetti. La fama di Pierluigi si diffondeva intanto sempre più e acquistava nuova luce con la pubblicazione del primo libro dei mottetti a 5, 6, 7 voci (1569) contenente 33 mottetti, mirabili per la novità e la freschezza delle frasi, per la continua varietà ritmica, per l'alternanza dei procedimenti omofoni ai polifonici, ove l'omofonia dà ottime concatenazioni di accordi. L'altra pubblicazione del tempo (1570) fu il terzo libro di messe, anch'esso dedicato al re di Spagna e contenente 8 messe a 4, 5 e 6 voci: alcune messe debbono però risalire ai tempi pretridentini e questa scelta fa pensare che P. le avesse pubblicate per dimostrare la sua profonda perizia contrappuntistica a coloro i quali imputarono forse a lui di avere più fantasia che scienza. Morto Giovanni Animuccia, Pierluigi ritornò (1571), dopo sedici anni, alla direzione della Cappella Giulia di San Pietro, incarico che conservò poi per tutto il resto della sua vita. Lasciò allora il posto presso il cardinale d'Este, conservando però la carica di compositore pontificio.